Vitali inoltre esamina il caso degli “Archivi inventati”, tipico del Web “storico”, e che consiste nella creazione, in diversi siti, di archivi che non hanno un loro referente “fisico”, cioè non riproducono materiali effettivamente conservati in un archivio ma mettono insieme documenti di vario genere provenienti da luoghi diversi, che vengono così “assemblati” a costituire un archivio “virtuale” che risponde agli interessi, didattici, divulgativi o altro, dei curatori del sito, come l’ “Archivio dei campi di concentramento italiani”, consultabile all’indirizzo www.storiaememorie.it/villaoliveto/Home.htm, o il più articolato sito americano “The valley of the shadow. Two communities in the American Civil War( http://valley.vcdh.virginia.edu/), che attraverso una ricca e complessa serie di documenti ricostruisce la storia di due contee prima durante e dopo la guerra civile americana.
Possono essere esempi di come i documenti possano proporsi “come qualcosa di più di semplici
Ma d’altra parte, mette in guardia con il suo consueto e solido acume Vitali (pagg.94-95), “In un archivio inventato…è il lettore …che è chiamato a compiere…sia l’operazione di contestualizzazione che…di ricontestualizzazione, cioè di nuova attribuzione di senso” rispetto al documento, che rischia di caricarsi o essere caricato “di autorità assoluta…di una verità…incontrovertibile, proprio perché non appare
Pertanto, per Vitali, occore che, in ogni iniziativa del genere, i documenti vengano fatti “interagire con strumenti conoscitivi capaci di evocarne i contesti di origine e di permetterne una
Vitali conclude il suo contributo affermando, e ciò vale senz’altro ancora oggi a 2 anni di distanza, che nel nostro Paese “la ricerca archivistica in Internet…deve…considerarsi intergrativa, più che sostitutiva, di quella condotta attraverso le tradizionali modalità” (pag.98).