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Autore
Achilli, Riccardo

Titolo
Firm size and competitive indicators: the Italian case
Periodico
Rivista di economia e statistica del territorio
Anno: 2013 - Fascicolo: 1 - Pagina iniziale: 62 - Pagina finale: 78

L’economia italiana è caratterizzata da un’ampia prevalenza di PMI. Negli ultimi dieci anni, crescenti segnali di crisi, da parte dei sistemi tradizionali con cui l’economia industriale italiana si è organizzata, per rafforzare le sue PMI (e in particolare i distretti industriali e più in generale i sistemi economici locali) hanno condotto a un ripensamento complessivo di tale modello. I dati mostrano come l’attuale recessione economica stia colpendo in modo particolarmente duro proprio le PMI, affette da problemi di sottocapitalizzazione, difficoltà di ampliare e diversificare i propri mercati e modelli di governance non del tutto adeguati. In particolare, le imprese più piccole sembrano essere, in termini di risultato economico finale, più direttamente dipendenti dall’andamento del ciclo macroeconomico generale. Altri studi evidenziano però come, proprio dal tessuto delle imprese più piccole, stia emergendo, anche in ragione della selezione competitiva operata dalla crisi, un "ceto medio" di imprese di media dimensione, fortemente vocate all’export, che potrebbe rappresentare il cuore della ripresa del nostro Paese. Tramite i dati dell’indagine annuale ISTAT "Struttura e competitività delle imprese", si è costruito e stimato un modello econometrico mirato a spiegare i differenziali nei risultati economico/finanziari finali delle imprese italiane basati sulle differenze di classe dimensionale di appartenenza. Tale modello utilizza come variabile endogena il valore aggiunto, scelto come indicatore di massima del risultato economico dell’impresa, e come variabili esplicative il costo del lavoro per addetto, come misura di un modello competitivo basato essenzialmente sul contenimento dei costi di produzione, l’investimento per addetto, come variabile di un modello competitivo di tipo struttura- le, basato cioè sull’investimento nei parametri fondamentali di un modello competitivo basato su innovazione, diversificazione di prodotto e mercato e qualità, la produttività del lavoro, come variabile indiretta di misurazione degli effetti di miglioramenti sull’organizzazione del lavoro e i processi produttivi, e la quota di fatturato proveniente dalle esportazioni, come misura della capacità di internazionalizzazione delle nostre PMI. La stima è stata condotta sulle PMI manifatturiere e delle costruzioni, nell’intervallo di tempo 2003-2008, con un modello cross-section che analizza i dati disaggregati per classe dimensionale di addetti (0-19, 50-249, 250 e oltre). I risultati di tale esercizio di stima segnalano che l’unica variabile che spiega in modo robusto i risultati economici delle imprese più piccole è il rapporto fra costo e produttività del lavoro, mentre la scarsa significatività della variabile legata all’internazionalizzazione è legata alla scarsa capacità di penetrazione sui mercati esteri di molte microimprese, così come la scarsa rappresentatività della variabile legata agli investimenti è indicativa della difficoltà delle microimprese, affette da problemi di sottocapitalizzazione e di difficoltà di accesso al credito bancario, a investire in modo significativo su fattori di competitività strutturale atti a incidere sul loro valore aggiunto. Emerge quindi un modello competitivo, per le microimprese italiane, che, al netto di piccoli gruppi che operano su nicchie di mercato particolari, poggia soprattutto sulla capacità di controllare i costi, piuttosto che sulla capacità di investire in innovazione, qualità, diversificazione, internazionalizzazione. Un modello competitivo tradizionalistico, fortemente esposto alla concorrenza da parte delle economie emergenti, che dipende anche dal modello di specializzazione produttiva delle microimprese italiane, imperniato essenzialmente su settori tradizionali. Nel caso delle medie imprese, emerge con chiarezza una maggiore intensità di investimento per addetto, che però non ha un riscontro immediato in termini di miglioramento del trend del valore aggiunto, mentre il dato relativo alla capacità di internazionalizzazione assume una rilevanza fondamentale nella spiegazione dei risultati economici delle imprese fra i 50 e i 249 addetti. Si tratta infatti del cuore dell’internazionalizzazione della nostra economia. Le grandi imprese derivano i loro risultati economici essenzialmente dalla capacità di esportazione e da quella di controllo del costo di produzione, per cui una delle reazioni alla crisi sembra essere quella di aumentare il rapporto fra capitale e lavoro nei processi produttivi. I risultati di tale esercizio, dunque, evidenziano l’opportunità di adottare politiche industriali maggiormente selettive, oltre che per settore, anche per dimensione di impresa, e quindi sui fattori specifici di competitività che ogni singola classe dimensionale evidenzia, come sopra tratteggiato.



SICI: 1971-0380(2013)1<62:FSACIT>2.0.ZU;2-6
Testo completo: http://www.francoangeli.it/riviste/Scheda_Rivista.aspx?IDArticolo=47966&Tipo=Articolo PDF

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