Le fonti secondarie saranno lavori tanto più validi e utili quanto più saranno stati il prodotto dell'esame di fonti primarie, quanto più citeranno le fonti primarie, quanto più le riprodurranno, quanto più ci permetteranno a nostra volta di studiarle e interpretarle direttamente.
Nella preparazione o proposta di bibliografie, l’operatore di biblioteca dovrebbe a mio parere difatti indirizzare soprattutto verso quelle fonti secondarie, quei saggi storici che sempre più spesso si fanno strumento non solo di contestualizzazione e interpretazione di dati e informazioni specifici, ma che esplicitano proprio questi ultimi, fornendo al lettore la possibilità di effettuare un proprio lavoro di ricerca e selezione, che va al di là di quello possibile tramite i tradizionali e pur sempre preziosi indici dei nomi e dei luoghi, spesso purtroppo anch’essi dimenticati ( o peggio) da editori e autori.
Porto 2 esempi: quello de “Il libro della Memoria” di Liliana Picciotto Fargion (Mursia, 2002), e di “Squadristi” di Mimmo Franzinelli (Mondadori, 2003).
1. Nel primo, la Picciotto Fargion, oltre a ricostruire la Shoah in Italia con una serie di tavole analitiche (rinvenibili su http://www.cdec.it/memoria/tabelle.htm#Tavola%201.%20%20Vittime%20della%20Shoah%20in%20Italia ) identifica e ricostruisce in sintesi i dati biografici di circa 8000 ebrei deportati dall’Italia tra 1943 e 1945 ( nell'edizione del 1991 su: http://www.binario21.org/index.htm).
Un’operazione importante, anche perchè si inserisce nella discussione sulla cosiddetta ( dai francesi per primi) “pedagogia del terrore”, vale a dire sulla questione se nell’insegnamento dei fenomeni di genocidio e distruzione di interi popoli, comunità, culture si debba insistere sulla enormità dei numeri e sull’orrore delle immagini di mucchi di cadaveri senza volto e senza storia o se piuttosto non si debba oltre questo o al posto di questo restituire a quelle vittime e a quei numeri la dignità di vite realmente vissute e sofferte, restituendo loro, ogni volta che è possibile, un volto, un nome, un cognome, e ricostruendo le loro singole e personali storie, fino al loro tragico epilogo, grazie al contributo di una ricerca storiografica che in questo modo “restituisca” non più solo numeri ma anche uomini e donne (secondo la filosofia del Museo dell’Olocausto di Gerusalemme, lo Yad Vashem, dove vengono di continuo ripetuti i nomi delle vittime della Shoah : "And to them will I give in my house and within my walls a memorial and a name - a "yad vashem": un nome eterno... - that shall not be cut off."